Conosci la storia (per nulla fantastica) del Pentcho? / 3
Il Danubio
Della navigazione lungo il Danubio colpiscono le parole dello studente Karl Hoffmann: “Costretti in spazi angusti, con i viveri sempre più ridotti e il caldo opprimente a togliere forza dopo notti insonni, noi cimici del Pentcho cominciammo così, per la prima volta dopo la partenza, a sperimentare anche la rabbia, l’aggressività, la violenza fisica: l’ultimo stadio, prima della follia”.
Si assiste dunque ai primi litigi. Bastava un pretesto per vedere agitare pugni e mulinare bastoni. Ad aggravare la situazione, il verificarsi dei primi furti. Le ore più difficili – sottolinea lo studente – erano quelle dei pasti rituali, quando la crescente penuria delle scorte obbligava le famiglie a scegliere di volta in volta chi doveva digiunare, vecchi e bambini inclusi: con l’effetto, inevitabile, di deperire lentamente tutti insieme. Ma a ferire di più i cuori non erano la fame, la rabbia, il caldo insopportabile, bensì il tradimento che si compiva nei loro confronti da parte di un’Europa millenaria disposta a lasciare quegli uomini, quelle donne e quei bambini, completamente soli, senza prospettive né speranze.
Il mare aperto
In mare aperto rapisce il “canto” della poetessa tutta tesa a ricordare i dettagli del viaggio. Operazione che avviene alla maniera appunto dei poeti, in chiave sensoriale, decidendosi di utilizzare – ai fini proprio del ricordo – il senso dell’olfatto. L’intera vicenda pertanto viene ricostruita per il tramite degli odori. Il più pesante, si dice, è quello del carburante. Poi l’odore secco della canapa, della iuta, del cuoio: di tutti i sacchi, le borse, le bisacce, i tascapane nei quali i passeggeri avevano avvolto gli effetti personali. Ancora, l’odore dei corpi accaldati e sudati. In aggiunta, l’odore del cibo (meglio, il ricordo del suo trasformarsi, lento e inesorabile). Ma anche l’odore del miele utilizzato nella festa del proprio
capodanno per intingere, in silenzio, i minuscoli e miseri pezzi di mela, in contrapposizione all’odore ultimo, il più terribile, l’odore della paura: “Un’essenza strana, quest’ultima, diversa da persona a persona: a volte acida e aspra, altre dolciastra e rugginosa. Sempre, però, pronta a spandersi tutte le volte in cui abbiamo creduto che fosse arrivato il momento di incontrare il nostro destino”.
Il desiderio di ricordare della poetessa, fino a trattenere tutti gli odori di un viaggio, stride enormemente e contrasta con il desiderio di oblio nutrito dall’avvocatessa che, delusa dalla legge e dalla giustizia, dai suoi studi giurisprudenziali, rivendica il diritto di dimenticare. “Ricordare è un grave errore. Non dovete evocare i fantasmi di quei giorni e di quelle notti, trasformandoli in pagina scritta: e dare loro di nuovo, così, sostanza e solidità. A quel viaggio si addice solo il silenzio, la dimenticanza. Serbare memoria di quel che è stato, di quello che è accaduto, significa permettergli di ripetersi ogni giorno, per sempre, all’infinito. Di rinascere ogni volta che viene letto, ogni volta che viene raccontato: e non conta che, a farlo, siano occhi buoni e voci innocenti come quelli che vedo qui, intorno a me. In questo modo, infatti, quegli orrendi ricordi acquistano, tronfi e inorgogliti, la nobiltà della storia: entrano a far parte di ciò che è stato, per tutti noi. Vengono premiati con l’immortalità, mentre al contrario andrebbero condannati all’oblio eterno. Bisogna romperla, questa catena. Spezzarlo, questo filo: e tocca a me, solo a me farlo. A me che, donna, custodisco nel grembo, al contrario, il mistero e il potere della continuità, della prosecuzione della storia, della vita”. Continua a leggere > clicca qui