Pazzi furiosi (secondo il diritto romano) / IV
6. Le parole per dire follia
La riprova di ciò giunge dall’analisi comparata con le altre espressioni richiamate in parentesi nel paragrafo precedente. L’autrice le passa ordinatamente in rassegna.
La presenza ad esempio nelle commedie di Plauto di “larvatus” (che vuol dire in preda alle larve, agli spiriti dei morti intesi come entità malefiche) e di “cerritus” (“colpito dall’ira della dea Cerere”) aiutano a comprendere lo scarto tra il linguaggio specialistico e quello di uso comune, che in questo caso era indirizzato al divertimento del pubblico. Lo stesso può dirsi per il termine poetico “lymphatus”, “colpito dalla ninfa”: “furosius” si differenzia giacché non designa mai una patologia o un suo sintomo né viene esplicitamente riferito, nell’uso che ne fanno i giuristi e gli autori latini in genere, a un incontro con un essere soprannaturale, malgrado l’etimologia.
Un altro termine che ha a che fare con l’alienazione mentale è “fanaticus”: etimologicamente, colui che sta nel tempio, colui che è addetto ad una divinità, magari alle divinità straniere, da queste invasato a fini divinatori. Interessante scoprire che il termine “fanaticus” compare con uso giuridico in riferimento all’azione redibitoria e per il minor valore nella vendita degli schiavi. La condotta descritta dei “fanatici” (agitazione del capo, epilessia, bile nera, ecc.), non è riconducibile ai “cittadini furiosi”, che sono assai raramente segnalati da sintomi o da atteggiamenti specifici che possano mettere in ridicolo chi li compia (nel caso di epilessia, per la verità, il termine più adatto è quello di “lunaticus”, il cui uso frequente si avrà nei testi cristiani col valore di “preda del demonio”).
Termine attestato nelle fonti antiche è anche quello di “fatuus” nel senso di “stolto” o “tardo”. La divinità qui tirata in ballo è la divinità profetica “Fatua”, moglie di Fauno, o “Fatuus”, una divinità che profetizza solo quando è fuori di sé. La follia o la stupidità si manifestano attraverso il modo in cui si parla e si dicono le cose. Il fatuo non comprende quello che lui dice e quello che dicono gli altri (come i muti e i sordi), è pertanto pericoloso e va trattato alla stregua dei minorati.
Rispetto a tutto questo argomentare, si è lasciato intendere, l’etimologia della parola “furiosus” conduce a diverse narrazioni.
Si legge nel libro che la parola “furiosus” non deriva direttamente dal verbo “furo”, bensì dal sostantivo “furia/ae” (come dimostrerebbe la vocale “i” che si frappone tra il prefisso “fur” e il suffisso “osus”). Ma affermare una cosa simile, dire che “furiosus” non è un sostantivo ma un aggettivo il cui valore è “pieno di” o “preso da”, stravolge gli scenari, apre la strada alle concezioni platoniche, spalanca le porte alla possessione della divinità. Il “furiosus”, in pratica, si connota non per il suo comportamento, bensì per il controllo esercitato dalle Furiae, divinità omologhe alle Erinni; Furiae che potrebbero decidere – perché no? – di abbandonare il soggetto di cui hanno preso possesso; Furiae che popolano la tradizione letteraria e quella iconografica.
Nel collegamento ciceroniano tra “furiosus” e “furor”, che passa attraverso l’analisi comparata di due opere di Cicerone (il “De divinatione” e le “Tusculanae disputationes”), Aglaia McClintock evidenzia senza equivoci che il “furere” non indica o non indica soltanto la malattia organica, come nella coppia “insanus/insania”, bensì una condizione più generica di cecità della mente che può essere determinata da cause diverse dalla malattia mentale, come ad esempio una passione (il dolore di Oreste o l’ira di Aiace).
7. L’importanza delle parole
Se si passasse a considerare il linguaggio quotidiano, capiremmo le differenze che noi oggi riconduciamo ad espressioni tipiche del nostro modo di parlare. Perché, ci si domanda, se diciamo di un artista che è un folle, non ci sconvolgiamo, anzi vi ricolleghiamo una certa genialità? Perché se lo diciamo di un cittadino comune, invece, ci preoccupiamo? Perché, se diciamo di una persona che è sana facciamo implicito riferimento al suo corpo; mentre se diciamo che è insana, l’allusione immediata è alle condizioni mentali della stessa?
Dal punto di vista della cronologia, della capacità penetrativa nei vari generi letterari e della rilevanza giuridica, tra i termini equivalenti per indicare la pazzia nel mondo romano, la parola “furiosus” gareggia appunto con la parola “insanus”, che ha rappresentato indubbiamente uno spartiacque.
Sarà stato per intervento di Cicerone e anche di Celso, conclude l’autrice, che la mancanza di “sanitas”, la mancanza di integrità psico-fisica, quella particolare mancanza di saggezza che può essere determinata dall’incapacità di controllare le passioni, abbia indotto la scienza giuridica ad un concetto negativo di follia, ad una nozione di carattere privativo, che ha autorizzato successivamente la promozione del parallelismo tra malattia dell’anima e malattia del corpo, inaugurando nel contempo una nuova stagione definitoria della follia; la stagione che Aglaia McClintock ci racconterà nel secondo volume della sua ricerca, arricchendo ancor di più il nostro vocabolario. Cosa di cui si avverte nei tempi attuali pressante il bisogno perché, come si è più volte ribadito, tutto parte da lì: tutto parte dalle parole!
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