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L’antico mestiere delle armi… e i suoi mille segreti

Il volume raccoglie gli scritti che il Centro Europeo di Studi Normanni ha inteso offrire a Mario Troso, noto studioso di armi e di strategie militari nonché apprezzato scrittore di libri e saggi in tema, in occasione del compimento del suo novantesimo anno d’età: un anniversario che è coinciso con l’inaugurazione della Sala delle Armi “Mario Troso” allestita all’interno del Museo della Civiltà Normanna di Ariano Irpino.

A Mario Troso mi lega un piccolo segreto, racchiuso appunto nella sala che il Museo della Civiltà Normanna di Ariano Irpino ha voluto intitolare allo studioso novarese, acquisendo ed esponendo una sua ricca collezione di armi in asta. Mi riferisco a una particolare suggestione che la vista e lo studio di centinaia di armi medievali e moderne ha generato in me, destinata essa ad essere rafforzata dalle discussioni che nel frattempo ho avuto modo d’intrecciare con lo stesso Troso. Fra tutte, la discussione relativa allo strano destino del dardo. L’arma cara alla mitologia greca e romana, che nell’antichità è stata tanto strategica quanto nota, oggi sopravvive solo nelle testimonianze iconografiche, molte delle quali Troso ha raccolto e analizzato. È discesa da qui una singolare lezione.

Comincerò col dire la prima cosa che ho imparato da Troso e cioè che la grande varietà delle armi inastate impedisce di raggrupparne le diverse tipologie sotto una storia unica e generale. Il loro “catalogo”, tuttavia, proprio per la ricchezza delle voci che lo compongono, ci restituisce aspetti avvincenti del medioevo e dell’età moderna; aspetti, invero, non sempre adeguatamente studiati, eppure indispensabili per comprendere modi di pensare e di agire niente affatto lontani dalla sensibilità contemporanea.

Senza dubbio l’approfondimento della secolare cultura delle armi, prima dell’avvento dell’artiglieria, spiega bene molte cose: l’importanza ad esempio che le strategie militari hanno avuto nella conquista come nella difesa di interi territori; gli ideali o gli interessi che in passato sono riusciti a muovere – sotto le insegne più disparate – eserciti impressionanti per la loro consistenza; il mondo di cavalieri, arcieri e fanti che per secoli ha accompagnato – nell’immaginario collettivo – le alterne fortune di principi, sovrani e imperatori. Il patrimonio armigero, però, letto in controluce, rivela all’osservatore di oggi anche paesaggi profondamente diversi, dotati – sembrerà strano – di una profonda “umanità”. Sotto questo aspetto, va segnalato che il Museo della Civiltà Normanna raccoglie armi in asta che, derivando la loro origine dagli antichi strumenti utilizzati per la caccia o per l’agricoltura, di cui sono state spesso un’evoluzione o un adattamento, riescono a illustrare bene le difficoltà quotidiane di uomini qualunque, magari poveri contadini costretti a difendersi contro i più disparati imprevisti oppure soldati privi di armatura obbligati a lottare dietro compenso. Inoltre, le tecniche che hanno riguardato la loro costruzione corrono parallelamente allo sviluppo degli ordinamenti e degli assetti sociali d’antico regime, scandendone le tante trasformazioni conosciute nel tempo. Come dire: efficienza, economia, sicurezza, agilità, destrezza, resistenza, rappresentatività sono caratteristiche legate alla fabbrica e all’utilizzo delle armi, ma pure attributi tipici di determinati meccanismi socio-istituzionali, ivi compreso l’esercizio della sovranità. Anzi, per questa via, in un significativo gioco di interferenze e connessioni, le armi inastate recuperano la nobiltà che la fucina originaria non ha donato loro. E vari sono gli esempi adducibili a sostegno del circuito comunicativo di cui stiamo parlando, produttivo a sua volta di un interessante slittamento di significati. Si pensi all’attuale impiego delle armi inastate come armi di rappresentanza o di addestramento specialistico presso quei corpi di guardia che integrano ancora l’uniforme ufficiale con elementi storici (quali Guardie svizzere e Guardie Reali spagnole); oppure si consideri la sopravvivenza delle armi bianche nella letteratura, nelle fiabe, nei detti popolari o nell’iconografia. Forse quest’ultima, meglio di altri fonti, è stata capace di certificare non solo l’esistenza e l’utilizzo in battaglia delle armi inastate, bensì il loro significato più riposto, quello che adesso vive “sotto traccia”, facendone simbolo di precise virtù, di ricercati valori, di grandi sentimenti o di forti passioni.

Il dardo, tanto per ritornare a uno dei grandi interessi di Troso, nel momento in cui ha perduto valenza campale, arrivando addirittura a smaterializzarsi, ha perduto nondimeno tutta la crudezza legata alla guerra o al martirio, alla conquista o alla sconfitta, per trasformarsi da “valore freddo” in “valore caldo” dell’esistenza umana. Esso, infatti, nelle rappresentazioni letterarie e artistiche è sovente il simbolo della prudenza, un attributo del buon governo, uno strumento della provvidenza e, volendo dar retta alla rivoluzione semantica che ha caratterizzato il suo nome, trasformandolo in freccia, finanche una metafora dell’amore.

Insomma, se alle armi di Troso non si sottrae la dimensione letteraria o etica che pure appartiene loro, esse sono in grado di raccontare mille altre storie, distanti è vero da quelle per le quali sono state costruite, ma certo non estranee alla contemporaneità, se tra gli obiettivi del tempo presente s’annovera la continua ricerca di un mondo valoriale che spesso ci sfugge, di cui però – quasi dappertutto ormai – s’avverte pressante il bisogno in termini di conoscenza, di apprensione e di praticabilità (Riproduzione riservata©).

Scheda: Studi offerti a Mario Troso dal Centro Europeo di Studi Normanni, a cura di Giuseppe Mastrominico, Medievalia, 2, 2012 [pp. 310 / ISBN 9788898028047]

Contributi di: Govanni AMATUCCIO (La battaglia di Sarno del 24 luglio 1132); Rosanna ALAGGIO (Cosenza 1184: morfologia urbana e terremoti); Gemma Teresa COLESANTI (Caterina Lull I Sabastida: una mercantessa del Mediterraneo medievale); Errico CUOZZO (La concezione della falconeria di Federico II di Svevia. In margine alla monografia di Wolfang Stürner); Laura ESPOSITO (La diffusione della falconeria araba nel Mediterraneo); Mario IADANZA (L’edizione beneventana dell’opera “Del primato morale e civile degli Italiani” di Vincenzo Gioberti [1844]); Giuseppe MASTROMINICO (Sul disarmo del diritto: prospettive storico-giuridiche); Simona PALLADINO (L’incastellamento: un processo di trasformazione del sistema insediativo); Giuseppe PERTA (L’inventario di casa Filangieri); Daniela ROMANO (Un mercante di Ragusa del 1300. Per la storia del pellegrinaggio per procura); Luigi RUSSO (L’espansione normanna contro Bisanzio [secoli XI-XII]); Mario ROSSI (Il baselardo, arme italica o transalpina? Studi e ricerche di oplologia medievale); Anna SPIEZIA (La foresta del re in Inghilterra [1066-1217]. Cervi, daini, cinghiali e falconi di corte tra caccia e itinerari di fede); Ortensio ZECCHINO (Spade e Vangelo).