“Liberi di” o “Liberi da”? Una lezione magistrale di Gaetano Pecora
Raro è, di questi tempi, prendere parte a dibattiti pubblici che – lontani dalle contese elettorali e fuori da ristretti ambiti specialistici – inducono a riflettere su temi che sono essenziali sia per la formazione civile sia per quella più specificatamente politica. È il proposito coltivato dall’associazione culturale “Civitas” con l’intermediazione di incontri e discussioni sulle principali dottrine politiche del Novecento, che ancora oggi trovano rappresentanza in Europa: socialismo, liberalismo, conservatorismo e popolarismo.
Nel secondo appuntamento del ciclo seminariale organizzato presso la sala conferenze di Palazzo Portoghesi a Grottaminarda (AV), con il patrocinio della stessa amministrazione comunale, si è parlato di liberalismo: argomento affidato al prof. Gaetano Pecora, raffinato storico delle dottrine politiche, riconosciuto – a giusta ragione – “tra gli studiosi più sensibili e acuti del pensiero politico contemporaneo”.
Introdurre il prof. Gaetano Pecora significa innanzi tutto evidenziare la lezione che discende dall’approfondimento di numerosi suoi scritti, accomunati da quelle caratteristiche che ne hanno determinato il successo, non solo accademico. Rigore di metodo, lettura meticolosa delle fonti, analisi complessiva dei contesti, visione unitaria delle vicende studiate: ingredienti posti a base di ricerche sostanziose, capaci di sovvertire finanche prospettive consolidate. È il caso, ad esempio, di un bellissimo libro dedicato al Socialismo liberale, opera emblematica di Carlo Rosselli, che Gaetano Pecora sottrae alla certezza della compiuta esposizione di una teoria socialista, che ancora adesso si vuole immune da implicazioni di ogni sorta, per restituirla ai sentieri più accidentati del pensiero antifascista italiano.
Altra cosa ammirevole è che in Gaetano Pecora il tema del liberalismo non è mai disgiunto da una riflessione attuale sulla democrazia, sulla combinazione possibile (tanto formale quanto sostanziale) tra regole democratiche e regole liberali, diverse – è vero – le une dalle altre, eppure unite entrambe nella “difesa” dell’individuo contro le istanze che ne propugnano la “neutralizzazione”, a vantaggio evidentemente di visioni autoritarie, che sul terreno tecnico del funzionamento della Giustizia e dell’organizzazione dello Stato conducono la propria battaglia anti-liberale e anti-democratica.
Cosa significa, allora, dichiararsi liberali o democratici nel mondo d’oggi? Quali implicazioni il liberalismo e la democrazia comportano sul terreno delle scelte politiche o amministrative? Quale concezione di libertà si propugna, collocandosi sull’uno e sull’altro versante?
Per comprendere meglio, si potrebbe cominciare col rispondere ad una altra domanda: si preferisce essere liberi di… o liberi da…? Nella scelta della preposizione, la scelta anche di professarsi come democratici o come liberali.
Democrazia e liberalismo, spiega il professore, condividono senz’altro la stessa passione per l’individuo e le sue infinite potenzialità. La collocazione tuttavia dell’individuo dentro o fuori lo Stato, dentro i confini segnati dai divieti e dai comandi delle leggi oppure al di fuori degli stessi, costituisce una sensibile differenza.
Orbene, per i liberali essere liberi significa: essere liberi da…; godere della facoltà di compiere o meno certe azioni permesse dalla legge: il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono, si direbbe con le parole di Montesquieu. Per i democratici, invece, essere liberi significa: essere liberi di…; liberi di partecipare all’elaborazione di divieti e comandi, sottoponendosi poi autonomamente alla loro obbedienza. Il valore fondante della democrazia, pertanto, è la solidarietà: la partecipazione solidaristica alla formazione delle leggi che “necessariamente” governano le collettività di cui gli individui fanno parte. Il valore fondante del liberalismo, più esattamente, è la libertà dei singoli; o meglio, le libertà plurali che le leggi, per quanto autonome e volute da tutti, finiscono comunque col comprimere.
Due diversi ideali di vita etica, insomma, che però trovano uno sbocco comune, sia perché la democrazia presuppone il liberalismo (liberal-democrazia dovrebbe essere il termine corretto da utilizzare) sia perché liberalismo e democrazia insieme rovesciano le prospettive cosiddette “organicistiche”, che della democrazia ripugnano l’organizzazione dello Stato e del liberalismo la concezione della Giustizia.
Se è vero infatti che non vi può essere liberalismo o democrazia senza libertà, è vero anche che vi sono non poche teorie che delle libertà farebbero volentieri a meno. I cosiddetti “organicisti” sintetizzano molte di queste posizioni.
Gaetano Pecora è chiaro ed essenziale nell’evidenziare i passaggi concettuali.
La convinzione comune a tutti gli organicisti è che l’individuo viene dopo lo Stato. Quest’ultimo, dunque, è più importante dei singoli individui. La verità assiologica, che si pretende essere sottesa a siffatta affermazione, viene fatta discendere da una verità storica: se l’individuo, fin dalla nascita, è inserito in un tutto più ampio e organico (la famiglia); se la famiglia opera all’interno di un tutto ancora più ampio e organico (lo Stato); il valore dell’individuo non può che derivare dallo Stato stesso. La conseguenza ulteriore – di natura appunto assiologica – è che l’individuo in sé, da solo, non vale nulla.
Aristotele viene solitamente indicato quale padre filosofico di questa affermazione, giacché è dipeso da lui il parallelismo tra “corpo politico” e “corpo umano”. Invero, anche l’idea platonica di “perfezione” non è estranea alle medesime argomentazioni. Così, se Aristotele affermava che una parte non può continuare ad esistere senza il tutto, mentre il tutto può benissimo fare a meno di una sua parte, Platone sosteneva che quanto più i governi delle città fossero pacifici, lontani da conflitti interni, tanto più essi si avvicinavano alla perfezione. Si comprende allora che le metafore del “corpo umano” e del “corpo politico” non sono immagini puramente esemplificative o didascaliche.
Ricapitolando. Gli organicisti, perseguendo un’ideale di perfezione, secondo un’impostazione tipicamente platonica e aristotelica, cercano di espellere per quanto più possibile il conflitto dalla società. Come nel corpo umano ogni parte ha una sua funzione ben precisa, non sovrapponibile alle altre, conseguenza la malattia del corpo fisico, allo stesso modo nel corpo politico ciascuno deve pacificamente svolgere il proprio ruolo, secondo una precisa gerarchia sociale, pressoché immobile, senza scambi né confusioni. Conseguenza, altrimenti, sarebbe l’anarchia: malattia del corpo politico.
Ugualmente, come il corpo umano ha un organo (il cervello) che prevale sugli altri organi, coordinandoli, così nel corpo politico i sapienti non possono essere espropriati dal loro ruolo “naturale”: il governo dello stato. Il governo immaginato dagli organicisti, quindi, è sempre il governo di un uomo solo al comando.
Appare quasi superfluo precisare che ci si trova dinanzi a due diverse concezioni dell’uomo: una cosa, infatti, è sostenere che alle verità politiche, economiche e morali si giunge attraverso la determinazione del “sapiente”, cui viene demandato il governo dello Stato, altra cosa è ritenere che la molla del progresso umano risieda nel contrasto, nel conflitto e nella contrapposizione tra idee e opinioni. Da una parte, in pratica, l’uomo immaginato dagli organicisti, che è un uomo soddisfatto della sua condizione, beato e felice del proprio ruolo all’interno di un universo pacificato; dall’altra parte, invece, l’uomo liberale e quello democratico, che sono per definizione (anzi, per costituzione) insoddisfatti, tormentati, irrequieti, alla costante esplorazione di nuovi orizzonti.
Citando Victor Hugo (C’è una sola cosa peggiore di un inferno dove si soffre: un paradiso dove ci si annoia) e Luigi Einaudi (Se ne fossi capace, vorrei scrivere un inno irruente e avvincente alla discordia, alla lotta, alla disunione degli spiriti…), Gaetano Pecora indica esattamente a quale visione di uomo egli suggerisce di aderire. Ma, ci si chiede, nel tempo attuale, conviene aderirvi da liberali o da democratici?
Il convincimento di fondo è che le libertà liberali precedono (precedono e non prevalgono) le libertà democratiche. Al tempo stesso, il liberalismo cede in eredità alla democrazia la consapevolezza dei valori da praticare e degli obiettivi da perseguire; la consapevolezza cioè di disegnare per l’uomo (prima ancora che per il cittadino), per la società (prima ancora che per il diritto o per il mercato), un percorso complessivo, fino a lambire le sponde dell’etica e della spiritualità. Segno che l’educazione, la formazione di uomini adulti e di cittadini maturi, tanto nel campo privato quanto in quello pubblico, non conviene che provenga dall’alto, per gentile concessione di chi – a seconda dei tempi – pensa di potersi ergere a tutore dei destini altrui.
“Coltivo la libertà di partecipare insieme agli altri al governo della città, dopo essermi reso libero dalle volgarità della piazza”, conclude Gaetano Pecora. “Le risposte agli interrogativi eterni della vita politica non possono che essere aperte o scivolose”, precisa il professore. “D’altronde – aggiunge – spetta a noi, di volta in volta, trovare la risposta giusta, sperando che essa ci consegni la corona di alloro per attraversare l’arco trionfale, e non la corda per impiccarci alla forca”. (Riproduzione riservata©).
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Il presente articolo è parte dell’intervento introduttivo alla lezione sul “Liberalismo” che il prof. Gaetano Pecora ha tenuto giovedì 28 novembre 2019 nell’ambito del ciclo di seminari sui “Fondamenti dottrinali e culturali delle grandi famiglie politiche europee” organizzato dall’associazione culturale “Civitas” di Grottaminarda (AV). Il resoconto della lezione, che qui si propone, ha natura prettamente giornalistica e non pretende di essere esaustivo in relazione ai tanti argomenti affrontati nel corso della lezione stessa.