Sonia
Vola libera e felice, / al di là dei compleanni, / in un tempo senza fine, nel persempre. / Di tanto in tanto c’incontremo / – quando ci piacerà – / nel bel mezzo dell’unica festa / che non può mai finire.
(Richard Bach)
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Sonia mi ha insegnato quanto importante sia essere preparati nel momento dell’addio senza ritorno, che a nessuno è dato prevedere o conoscere. Ancor di più ho imparato da lei che non conta l’età, ovvero la lunghezza di una vita, al fine di misurare quella stessa preparazione. Ma preparati a cosa? Evidentemente ad essere in pace con se stessi e con gli altri, tanto da congedarsi senza troppa fatica, se non quella che la malattia impone al corpo. E malgrado la malattia, rimanere aggrappati fino in fondo a determinate convinzioni. Capita così che una stanza d’ospedale possa trasformarsi in una vera e propria palestra dell’anima, dove è dato apprendere insegnamenti fecondi, destinati a dettare il passo e ad indicare la via. Nel tempo in cui Sonia ha richiesto un’assistenza ospedaliera specifica è capitato appunto ciò: ciò che si direbbe, con altre parole, un vero miracolo!
Non me ne vorrà la riservatezza di una donna incantevole, che permane al di là della sua materiale assenza, se ne racconto qui alcuni aspetti.
Il saluto che ogni mattina mi è stato rivolto da Sonia in ospedale, giunto al fianco del letto, consisteva in una preghiera. Un Padre nostro e un’Ave Maria pronunciati quasi senza soluzione di continuità e – nonostante tutto – con voce ferma e decisa. Facendosi carico probabilmente del mio stupore, Sonia mi ha spiegato che le preghiere di chi versa [di chi si accorge di versare] in condizioni critiche sono – in un certo qual modo – più potenti e quindi più efficaci. Di qui la scelta consapevole delle intenzioni sottese alle sue invocazioni celesti. Le prime erano per i cari estinti, le altre per i bisognosi di questa terra. Ad esempio, nell’ultima preghiera che abbiamo recitato insieme (già, perché Sonia ha fatto sì che anch’io tornassi a pregare), la richiesta di protezione è stata avanzata per i bambini del Madagascar, che lei aveva visto e conosciuto. “Se il mio dolore potesse trasformarsi nella gioia di quei piccoli – ha detto – nessuna sofferenza mi farebbe paura!”.
Si parla di dolori e sofferenze di natura fisica legati alla terribile ferocia di un “male oscuro” che Sonia però ha pensato bene di combattere con l’amore che nutriva per le persone vicine. Man mano cioè che l’infermità conquistava con prepotenza la funzionalità degli organi vitali o dei propri arti, Sonia ha cominciato a sostituirli letteralmente con il marito Nuccio e gli altri suoi affetti che, per il tramite di gratificanti appellativi, divenivano di volta in volta i suoi occhi, le sue braccia, le sue gambe, il suo respiro o il suo cuore sottoposto a scossoni tremendi.
Vi sono poi degli aspetti più propriamente etici che pure hanno avuto un ruolo significativo negli ultimi giorni.
Sonia era nota, tra gli amici e i conoscenti, per essere vegana ed animalista. Posso dire adesso che non si è trattato di semplici passioni né di una scelta d’occasione, bensì di chiare convinzioni maturate alla luce di un pensiero che poggiava su basi solide e invidiabili.
Due soli esempi.
Avendo lei ripreso a deglutire per alcuni giorni, mi ero imposto una missione: non farle mai mancare a colazione un dolcetto vegano (tortino, crostata o cornetto che fosse). Mangiandone un poco entrambi, non facevo altro che esaltarne i sapori, pensando di dar forza in tal modo alla condivisione di una preferenza. Eppure, dopo un po’, con infinita delicatezza, tipica di chi non vorrebbe mai offendere l’interlocutore, mi sono stati spiegati i limiti racchiusi in una constatazione forse troppo semplice e banale: “Se fosse solo una questione di sapori – mi è stato detto – il gioco sarebbe presto finito”. Di conseguenza, sono stato invitato a riflettere sui molteplici odori, come anche sulla purezza dei colori, che il veganesimo è in grado di restituire attraverso un’enorme disponibilità di frutti: “Il giallo dell’ananas non l’ho mai trovato riprodotto come realmente è”. Il tutto all’interno di una vita ecosostenibile, fatta di rispetto per l’ambiente, la natura, il paesaggio. “Nell’infinita combinazione di ricette possibili con i prodotti esistenti in natura, male che vada, della natura si comprende la varietà; ma a discenderne è la bellezza”: è una delle ultime affermazioni di Sonia.
Sul piano dell’animalismo, lo stesso.
Sonia mi ha indicato il giorno esatto in cui ha deciso di superare le forme dell’attivismo, facendo della cura per gli animali una questione riguardante il miglioramento (ma vorrei poter dire l’innalzamento) della qualità di una vita. Il passaggio avvenne nel 2016 a seguito dell’incontro con Luigi Lombardi Vallauri, di cui lei aveva acquisito un principio soprattutto: se è vero (com’è vero) che l’uomo è il più nobile degli animali, è compito dell’uomo fare qualcosa per chi non avrebbe altrimenti nessuna tutela. Tra questi, senza dubbio, gli animali randagi o abbandonati. D’altra parte la nobiltà non comporta mica privilegi, impone semmai obblighi, e soltanto chi custodisce questo segreto in sincerità può permettersi di essere nobilmente generoso, altruista, dedito al prossimo, se non addirittura misericordioso: ecco l’assunto di base dinanzi al quale non ho potuto che chinare il capo.
Capita così, per tornare all’osservazione di partenza, che una stanza d’ospedale possa diventare una palestra per l’allenamento dell’anima, trasformando chi vi si reca per fornire assistenza nel più fortunato degli assistiti. Potrei aggiungere: dal punto di vista etico, civile e religioso. Dirò semplicemente: da un punto di vista umano.
In grazia allora di quanto ho ricevuto, non tacerò la mia intima certezza. So per certo, infatti, che Sonia farà un ultimo grande regalo: tornerà presto in sogno a chi l’ha veramente amata; tornerà in sogno per ribadire la gioia che ha provato in vita nell’essere stata figlia, sorella, moglie e amica felice; per dire di persona, ai tanti che la cercheranno, quant’è bello stare in Paradiso!