Parte II / Riflessioni su Madrigale senza suono, il nuovo romanzo di Andrea Tarabbia
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3. Il valore della storia nel romanzo
La definizione di Madrigale senza suono quale romanzo storico va articolata su più piani.
In primis è bene sottolineare che, a differenza di quanto capita nel romanzo di Alberto Consiglio, in Madrigale senza suono la storia non viene mai edulcorata, la gravità di certe azioni quindi non viene attenuata, non si nasconde mai la versione di fatti rilevanti né le fonti vengono mai smussate; e, soprattutto, laddove il racconto lo richiede, non si omettono i particolari, in quanto il possesso autentico della scrittura letteraria (finalmente) sa togliere morbosità a gesti e comportamenti per altri autori “equivoci” (come un tradimento, un amplesso, la preparazione di una pozione magica o di un assassinio) e restituire loro la dimensione che gli è propria: quella della quotidianità oppure del contesto socio-culturale dove trovarono svolgimento.
Il radicamento alla realtà e, prima ancora, al clima e alle atmosfere cui è opportuno ricondurre il lettore, è dato altresì dal richiamo sullo sfondo di numerose vicende storiche e antropologiche, grandi o piccole che siano, le quali si rivelano davvero utili perché d’aiuto alla narrazione principale. Nel libro, infatti, si coglie la notizia dei tumulti napoletani che condussero al supplizio di Giovan Vincenzo Starace, dei cambiamenti indotti dal Concilio di Trento, dei casi di licantropia che attivarono inchieste ecclesiali in terra lucana, del carnevale ferrarese che accolse l’ingresso in città di Carlo Gesualdo alla vigilia del suo secondo matrimonio, fino alla descrizione esatta di costumanze legate magari al divertimento (ad esempio, la giostra di cavalieri) oppure alla consumazione dei pasti con i riti che vi potevano essere legati (molto colpisce nel testo la descrizione simbolica della frantumazione dello zoccolo di cavallo, che non a caso precede la scoperta dell’adulterio da parte del principe per delazione di don Giulio, suo zio).
Se è vero poi che non bisogna dare per scontato il fatto che i romanzi storici rispettino sempre e comunque la geografia in cui sono ambientate le vicende che vi si descrivono, in Tarabbia il problema non si pone. Egli si muove con sicurezza nei luoghi gesualdiani di cui parla e di cui dimostra una conoscenza diretta.
I lettori che utilizzeranno il testo in termini di “turismo letterario” si ritroveranno in tutti i paesaggi che la scrittura di Tarabbia dipinge, da Ferrara a Gesualdo. Qui, in particolare, colpisce la descrizione del cortile del castello feudale, della chiesa di Santa Maria delle Grazie con la cosiddetta pala del perdono (l’enorme pala d’altare in cui Carlo Gesualdo si fece ritrarre genuflesso e penitente dinanzi a Cristo giudice), senza dimenticare i dintorni. Chi visiterà la zona sulfurea della Mefite, posta al centro della valle d’Ansanto, capirà fino in fondo cosa significhi quel colpo di tosse che sembra privare di respiro il petto di Carlo Gesualdo. Anzi, in tale senso di marcia, giocando anche noi agli specchi, va aggiunto che il “lettore gesualdiano” può tirare un sospiro di sollievo: costretto a districarsi spesso tra rappresentazioni erronee, che non di rado hanno contaminato i risultati faticosamente raggiunti da specialisti e ricercatori, con il libro di Tarabbia – grazie anche alla voce esterna di Stravinskij – egli riuscirà a discernere il vero dal falso, riuscirà a depurare il cammino di scoperta e conoscenza da interpretazioni sbagliate, notizie infondate o spunti ingannevoli.
4. Il valore delle invenzioni letterarie
In questo contesto, le “invenzioni” non sono mai fini a se stesse. Anche quando – a primo acchito – sembrano riproporre taluni stereotipi, esse si rivelano in conclusione la “proiezione di qualcos’altro” (l’affermazione sarà fatta pronunciare a Stravinskij). Emblematica la figura di Ignazio. Questi è introdotto nel romanzo come il figlio della colpa, mai esistito, che viene allevato a mo’ di bestia infernale, incatenata nei sotterranei del castello. Dopo i tanti avvertimenti disseminati nel libro sull’inattendibilità del personaggio, sulle sue coloriture barocche, solo le ultime pagine riveleranno il senso pieno e autentico di quell’artifizio. La medesima cosa può dirsi per le rielaborazioni letterarie riguardanti le figure di Aurelia, amante realmente esistita del principe Gesualdo, e della vecchia Polisandra, sospettata insieme alla prima di stregoneria e con questa incarcerata a pochi passi dalla prigione di Ignazio, luogo di reclusione di tutte quelle “malattie morali che sono in grado di rubare l’umanità”. [Continua > per andare alla Parte III > clicca qui].