Let them say. Ovvero della musica e delle sue avanguardie
Il Notturno Concertante, “nome simbolo della rinascita italiana del new prog” secondo una definizione del critico Mario Giammetti, riconosciuta e condivisa nell’ambito della letteratura musicale, ha da poco annunciato il suo settimo cd, tutto strumentale.
Pubblicato dall’etichetta Luminol Records, casa discografica milanese distante da canoni commerciali convenzionali, Let them say – questo il titolo del cd – si sposa perfettamente con la politica artistica dei suoi produttori, per i quali il progressive smette quasi di essere uno specifico genere musicale per identificarsi con un’idea ben precisa: la musica intesa come occasione di emancipazione, di sperimentazione e di contaminazione, come opportunità d’interpretare la realtà che ci circonda per poi comunicarla all’esterno, in maniera però non banale, secondo i parametri irrinunciabili del dialogo, del confronto e dello scambio di vedute.
Per chi, allora, s’inscrive nel solco lungo del “Prog”, con tutti i generi e i sottogeneri che ne sono nel frattempo derivati (dal rock al pop, dall’elettronica al metal, toccando le avanguardie felici di misurarsi sul terreno della complessità stilistica e della varietà compositiva), ascoltare l’ultimo cd del Notturno regala un innegabile vantaggio: comprendere meglio se stessi, ossia i propri gusti musicali, come sempre accade negli incontri rivelatori. Sì, perché Let them say è proprio questo, un incontro che non ci si aspetta, eppure destinato a lasciare il segno, visto che l’ascolto apre a prospettive culturali differenti, ad esperienze artistiche diverse, assai diverse, calate tuttavia in un processo di “osmosi etnica” capace di attenuare i confini dello spazio (tra Oriente ed Occidente) e del tempo (tra la storia e il presente).
Non a caso, accogliendo positivamente la novità discografica del Notturno, le prime recensioni hanno insistito su un vocabolario pressoché univoco, dove prevalgono le parole “libertà”, “indipendenza”, “esplorazione”, ad indicare il meditato passaggio attraverso campi sonori innovativi, in cui le percussioni sono disposte a lasciare il passo all’elettronica e questa al suono di strumenti classici, fino a carpire i segreti di un antico madrigalismo che – tra contrappunti, dissonanze e invenzioni manieristiche – ha agevolato finanche l’approdo moderno alle sponde del jazz, rivelandosi efficace esso stesso nella ricerca di una ritmica spiccata ed incisiva.
Il riferimento, nello specifico, è alla terza traccia contenuta nel cd, intitolata Dei miei sospiri. Il richiamo evidente è ad un madrigale di Gesualdo da Venosa (Itene, o miei sospiri), contrassegnato anch’esso col numero tre nel Libro V di madrigali a cinque voci edito nel Castello di Gesualdo, in Irpinia, nell’anno 1611, a cavallo tra Rinascimento e Barocco.
Occorre, a questo punto, una piccola pausa esplicativa.
Carlo Gesualdo (1566-1613), principe madrigalista inserito nel novero dei musicisti visionari, al centro oggi di un’attenta valorizzazione culturale e mediatica (il che vuol dire artistica, letteraria, cinematografica, poetica, documentaristica e così via), compose nel suo Castello avito, nell’omonimo feudo di Gesualdo, le sue opere più famose (i Libri V e VI di madrigali a cinque voci e i Responsoria), riconosciute quale “patrimonio imprescindibile della cultura occidentale”.
Della riscoperta gesualdiana nelle sue trasposizioni attuali, che trovano in Igor Stravinsky un padre nobile d’eccezione, il Notturno Concertante è stato sicuramente partecipe.
La band, ad esempio, fu invitata ad esibirsi durante la cerimonia d’inaugurazione del Castello di Gesualdo elevato – a seguito di un faticoso restauro – a luogo simbolico di editoria musicale colta e raffinata; in collaborazione con l’Istituto Italiano di Studi Gesualdiani, davanti ai maggiori maestri della polifonia europea e in presenza di Marie Stravinsky, presidente della Fondazione ginevrina intitolata al Maestro russo, il Notturno ha diretto – dopo averlo trasformato in musica – l’affascinante racconto letterario del viaggio compiuto proprio da Igor Stravinsky alla volta di Gesualdo, un viaggio che ebbe benefiche ripercussioni – lo si sa – su tanta parte della musica novecentesca; il duo composto da Lucio Lazzaruolo e Raffaele Villanova inoltre compare nel documentario sulla biografia umana e artistica del Principe madrigalista realizzato da Andreas Morell per la ZDF tedesca; sono ancora del Notturno Concertante le colonne sonore utilizzate da Vittorio Vallone per un altro documentario gesualdiano destinato a Sky Arte e a Rai Cinema; si è avvalsa infine delle musiche del Notturno anche la lettura ufficiale di “Madrigale senza suono”, il meraviglioso romanzo di Andrea Tarabbia vincitore del Premio Campiello 2019-2020.
La presenza, dunque, di un madrigale gesualdiano nell’ultimo cd del Notturno non desta affatto meraviglia. E non sorprende neppure l’impiego in esso dell’elettronica in sé, per nulla estranea alla rielaborazione di brani madrigalistici, soprattutto in riferimento al nostro personaggio. Affascina però l’originalità dell’operazione artistica compiuta. Lontani infatti dalla citazione erudita, senza lasciarsi sopraffare da un mero gusto estetico, dalla novità ad ogni costo oppure dall’appartenenza identitaria (il Notturno è una band irpina che ha il suo studio di registrazione a pochi passi dal Castello di Gesualdo), si raggiunge un obiettivo di rilievo, che merita di essere sottolineato.
Provo a semplificare i singoli step del percorso compiuto. Dopo aver scelto un madrigale caratterizzato da una ritmica a dir poco complicata, a causa dell’alternanza – dicono gli specialisti – tra episodi omoritmici ed altri a carattere imitativo, si è proceduto alla registrazione dal vivo del brano eseguito da un ensemble di grande esperienza; si è lavorato quindi sulle voci dei cantanti; trasformate in suoni elettronici, le voci sono state separate dalle arditezze originali, sono state liberate dall’andamento irregolare dei temi collegati; lasciando tuttavia sullo sfondo le trame del ritmo, quale traccia indelebile dell’illustre autore, anche lui riottoso verso la nuda novità, quelle stesse voci hanno acquistato una linearità melodica inaspettata. Sono risultate così potenziate le esigenze espressive legate alla valenza (spirituale prima ancora che letteraria) del componimento poetico, le cui parole hanno acquistato la leggerezza quasi di un ritornello pop, a differenza appunto del ritmo che rimane invece particolarmente “spiccato ed incisivo”, com’è nelle intenzioni racchiuse nell’intero cd.
Insomma, quant’è rigoglioso il terreno della contemporaneità, soprattutto quando lo si coltiva con una ricerca di tipo culturale. Che è poi una costante nel background del Notturno.
Ripercorrendo le esibizioni della band, che ha superato i trent’anni di attività, tra le numerose collaborazioni avviate si ritrovano senz’altro partecipazioni esclusive (si pensi, ad esempio, al brano Nocturne che compare nella compilation Double Exposure curata da Steven Wilson con la partecipazione – fra gli altri – di Anthony Philips) e si contano raffinati concerti, numerosi in acustica, tenuti sia all’interno di prestigiosi festival sia in accompagnamento ad alcune “star” (basti segnalare la partecipazione agli ultimi concerti italiani di Ray Wilson, la voce che sostituì Peter Gabriel nel gruppo dei Genesis).
Ma l’idea della musica come impegno socio-culturale ha spinto nel tempo il Notturno Concertante a supportare diversi progetti di valorizzazione, in collaborazione questa volta con poeti, scrittori, giornalisti, attori. Solo per citare i più recenti: Stefano Benni, Lina Sastri, Paolo Rumiz, Pamela Villoresi, Giovanna Iorio. Mettendo in fila simili impegni, si ottiene una rete di riflessioni musicali su argomenti dal forte impatto formativo: epopee poetiche, capolavori verghiani, i viaggi sulla via Appia, le antropologie carnascialesche tanto del meridione quanto del settentrione d’Italia, fino a sbarcare oltremanica, sulle librerie-battello londinesi ancorate lungo il Tamigi.
In Let them say si scorgono molti segni di queste attività. Penso ai rimandi etnici che si ascoltano in Delicate sabbath e in Fellow travellers, alla delicata malinconia che pervade Darkness I becam, all’ironia semantica sottesa al titolo Le magnifiche sorti (e progressive), cui fa da contrappeso la nostalgica Lovers second leap, brano nato come coda ad un brano dei Genesis; penso ai cambiamenti dinamici che caratterizzano Evidence of invisible e agli assoli classici contenuti in So far out e in Handful of hopes, nel bel mezzo di un folto gruppo di strumenti.
Colpisce, è vero, la collocazione degli assoli nell’economia dei brani, non solo in quelli appena citati. Essa ha valore – si potrebbe affermare – strategico: ripristinare l’equilibrio dei suoni laddove lo si potrebbe smarrire. L’equilibrio dei suoni, infatti, è il vero leitmotiv del lavoro compiuto. Lo si comprende fin dall’inizio, dal primo brano che dà il nome al cd, giocato sul “bilanciamento” tra una chitarra a 12 corde, una robusta sezione ritmica e un assolo di violino elettrico.
Invero, dire bilanciamento è dire poco e male, perché mai come in questo caso la parola equilibrio è sinonimo di “collaborazione”, “conciliazione”, “convivenza”. E difatti nel cd confluiscono – sul piano strumentale e artistico – il violino elettrico dell’americana Molly Joyce, il violoncello del canadese Kaitlyn Raitz, il clarinetto del giapponese Rappa Shokai, il violino della russa Nadia Khomoutova, insieme al bouzouki di Francesco Brusco, alle batterie di Francesco Margherita e Simone Pizza, ai bassi di Luciano Aliperta e Giuseppe D’Alessio, oltre che ovviamente alle chitarre di Lucio Lazzaruolo e di Raffaele Villanova: strumenti e artisti che vedono e toccano il Finis terrae, ovvero evocazione di confini lontani e dimostrazione al tempo stesso della possibilità di un loro superamento.
Questo per sottolineare che Let them say, in definitiva, è davvero molte cose: apertura a influssi etnici orientali, trasformazioni rinascimentali di tipo visionario, immaginazione di futuro, sviluppi sonori, attenzioni ritmiche, equilibrio strumentale, collaborazione internazionale, attraversamento di influenze musicali differenziate (l’etno-rock, l’elettronica, il jazz).
Let them say è davvero molte cose, e tutte d’avanguardia.