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La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin: il regalo di Enrico Ianniello all’Irpinia / 2

3. Il contesto del romanzo

Il romanzo di Ianniello, diviso in due parti, nasce nel cuore dell’Irpinia e precisamente a Mattinella, frazione di Andretta: un paese contadino e di collina dell’entroterra campano assunto a simbolo di ciò che Manlio Rossi Doria chiamò “terre dell’osso”, che Benedetto Croce definì “caviglia d’Italia” e che il protagonista chiamerà più direttamente “osso pezzillo”, un luogo dove il mare – distante qualche centinaio di chilometri – era lecito quasi solo immaginarlo. Era, in quanto il romanzo è ambientato sul finire degli anni Settanta, a ridosso di una data fatidica, quella del terribile terremoto del 23 novembre 1980.

Alla vigilia dunque di questo tristissimo evento, nel succedersi (si vorrebbe poter dire) regolare delle stagioni, si svolge l’infanzia piuttosto spensierata di Isidoro e dei tanti personaggi che egli stesso descrive: il papà Quirino Raggiola (“delegato sindacale, comunista, amante di Bach, grande inventore di parole, di ricorrenze e di rituali, dotato di una profonda saggezza popolare, capace di scrivere in bagno tenerissime lettere d’amore”, amante dell’Idrolitina usata non come polvere alimentare ma come toccasana cui sottoporre il lavaggio del corpo, e soprattutto strabico, munito cioè di quella mirabolante “vista laterale” di cui si diceva all’inizio); la mamma Stella Dimare (pastaia dalle braccia muscolose e bianche, “tanto bianche da sembrare esse stesse di pasta”; pastaia dal grande sorriso con accanto il nero degli occhi tristelìci, dolci e tristi insieme, dove però infine la dolcezza prevale, “come quando si gira lo zucchero nel caffè”); Alí, merlo indiano, non un semplice pennuto ma un essenziale maestro e confidente, dispensatore di storie (sull’India, sui mille voli fatti per arrivare ad Andretta passando sia per i deserti, dove ha combattuto contro animali predatori, sia per i cieli di Parigi, dove ha lasciato i propri amori); Marella, amica forte e sfortunata, primo e ultimo innamoramento; il signor Nocella detto Canzone (il lettore scoprirà perché), suonatore di fisarmonica e pigmalione di Isidoro; e poi Renò, che di Canzone è l’alter ego scientifico. Si tratta insomma di una galleria davvero nutrita di personaggi vari, la gran parte dei quali rivestiti di una spiccata umanità, anche se non mancano personaggi coloriti e a volte decadenti: figure e controfigure in cui è facile imbattersi o che, tutto sommato, ci si attende d’incontrare in ogni paese e dovunque si vada.

4. La storia

Isidoro quindi è nato da Quirino Raggiola e Stella Dimare a Mattinella di Andretta, ed è nato con una dote particolare: saper fischiare. Se il primo vagito di Isidoro è stato un sonoro “Pri-i-ì”, non un pianto, la sua infanzia è caratterizzata da lunghi fischi e infinite corse (“[…] da bambino già fischiavo e correvo sempre, come quelle rondini che gridano volando”, dirà il protagonista anticipando al lettore la caratteristica essenziale della sua esistenza). Perché tuttavia il “saper fischiare” possa trasformarsi da qualità innata in qualcosa di umanamente prodigioso, ovvero in linguaggio e rivoluzione, occorreranno due incontri.

Il primo è quello con Alì. Sarà infatti un merlo indiano (o forse “indolesiano”, fusione di Indonesia e Malesia nella cattiva comprensione delle primissime comunicazioni tra i due amici che imparano a conoscersi) a far scoprire ad Isidoro la potenza del fischio, la capacità di far uscire in forma di fischio tutto ciò che risiede nel cuore o che passa per la testa di un uomo (tutto ciò che ci “sfarfallèa” dentro, per dirla con le parole del protagonista). E grazie a questa impareggiabile guida, Isidoro imparerà a dosare bene il fiato, a fare salti acustici, anche di un’ottava, a modulare certe vocali esplosive e a triturare sillabe nell’esposizione del fischio.

Il secondo incontro invece è con il signor Nocella, suonatore di fisarmonica, star delle sagre locali, amico di famiglia, che Isidoro conosce nel giorno delle nozze civili di papà Quirino e mamma Stella presso la casa comunale di Andretta. Sarà dunque Nocella, detto Canzone, a far capire ad Isidoro che il suo fischio avrebbe potuto assumere tutta la potenza delle rivoluzioni, mettere le ali ai poveri donando loro felicità e libertà dal bisogno. Sarebbe bastato dar vita ad un “fischiabolario”, destinato questo ad essere ben inteso soltanto da chi avrebbe dovuto poi utilizzarlo.

Nell’arco di una settimana, tra la celebrazione civile del matrimonio e l’organizzazione del pranzo di nozze, in occasione tra l’altro della sagra domenicale del “peperone imbottito” di Lacedonia, Isidoro e Canzone avranno la possibilità di verificare l’efficacia del loro particolarissimo esperimento.

5. La scrittura di un nuovo vocabolario

Riscrivendo Marx ed Engels, Nocella darà nuovo corpo al concetto di rivoluzione: “Alla rivoluzione, dice, è mancato il fischio. No, non quello del vento e della bufera, bensì della leggerezza, la leggerezza propria degli uccelli”. E aggiunge: “Se la rivoluzione, come la giustizia sociale, cominciassero ad essere fischiate, la classe operaia può prendere coscienza della propria situazione attraverso un codice, un nuovo codice linguistico, una sorta di codice segreto ignoto ai padroni sfruttatori”.

Il fischio di Isidoro allora avrebbe fatto la rivoluzione, avrebbe determinato la conquista dell’uguaglianza, anche se un sarcastico commento – pronunciato con voce disillusa – da una vecchietta vestita di nero che porta una fascina di legna sulle spalle e che ha appena ascoltato Isidoro pronunciare a gran voce uno slogan di liberazione, è il segnale di quanto difficile sia portare a compimento l’ambizioso progetto.

Un piano ambizioso, certo, eppure fattibile agli occhi di un bambino che non conosce le differenze sociali o, pur avvertendole, non attribuisce loro alcun peso. Che “Giggino Parodia”, ad esempio, si fosse innamorato di un uomo anziché di una donna nell’Andretta degli anni Settanta non suscita scalpore allo sguardo di Isidoro, che non riesce a trovare in ciò – al contrario di altri – ragione di scherno. Le uniche differenze possibili sono quelle da lui assimilate nelle vibrazioni del fischio, imparate per imitazione da Alì; le differenze tra i suoni, tra le vocali e le sillabe, per distinguere una cosa dall’altra. Il problema che si prospetta davanti tuttavia non è affatto semplice: quando le lettere a disposizione sono poche, mentre le parole da dire sono tante, come si può arricchire il proprio modo di parlare? Ecco l’intuizione: come mamma Stella aveva pazientemente imparato a fare mille forme di pasta, così sarebbe stato possibile dar vita a mille forme di fischio; come papà Quirino aveva abilmente imparato ad elaborare parole nuove, condensando la bellezza o l’utilità di parole distinte, il fischio avrebbe potuto fare altrettanto. Con una aggiunta però: avviare il cambiamento, anche generazionale, rivoluzionario sì, ma non per questo violento; quello stesso cambiamento che è dato cogliere nelle prime luci dell’alba (penombra piena di speranza) o nel gioco dell’effervescenza prodotto dall’Idrolitina versata in bottiglia (col continuo scambio di bollicine, che salgono e che scendono, dandosi la mano).

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