Il madrigale italiano e la via espressiva nella musica
Carlo Gesualdo è passato alla storia con una pluralità di appellativi: principe assassino, principe dei musici, principe madrigalista, principe visionario e si potrebbe continuare. Ne è derivata una moltiplicazione vertiginosa di immagini non sovrapponibili, ognuna dotata di esclusività, cosicché far combaciare diverse definizioni nella ricomposizione di un’unica fisionomia ha significato spesso arrendersi, come in un labirinto senza via d’uscita.
Accostando infatti indicazioni plurime al titolo principesco, quest’ultimo ha finito con lo smarrire nel tempo la materialità dei suoi contenuti, divenendo un nome pressoché allusivo idoneo a veicolare informazioni biografiche peculiari, aneddoti di vita, aspetti del carattere o dell’arte, fino a coinvolgere connotazioni postume. Nell’ambito degli studi gesualdiani, pertanto, sembra ormai opportuno e forse necessario il recupero e la ricostruzione della figura di Carlo Gesualdo quale principe amministratore di vaste terre, quale signore feudale adeguatamente iscritto nella gerarchia araldica del Regno di Napoli, quale detentore di un rilevante titolo di sovranità, comprensivo oltretutto del cosiddetto “mero e misto imperio”: una delle più importanti prerogative amministrative dell’antichità.
Ne ho parlato nell’ambito della seconda edizione di “Italia mia: il madrigale italiano da Petrarca a Monteverdi“: il benemerito progetto curato dal maestro Walter Testolin in collaborazione con la Fondazione Camillo Caetani.
Dal 16 al 21 settembre scorsi, autorevoli musicisti, letterati, storici, musicologi, cantanti e strumentisti professionisti si sono confrontati in una serie di seminari, conferenze e concerti intesi ad indagare la via espressiva che si aprì tra Monteverdi, Gesualdo e la “Seconda Prattica”, con un obiettivo preciso: studiare, discutere, analizzare ed eseguire il meraviglioso repertorio madrigalistico italiano.
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