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Sentimento della natura e cultura dell’ambiente

La questione ambientale, grazie alla sensibilizzazione e ai richiami quotidiani del Pontefice, grazie al clamore suscitato da azioni varie e magari non convenzionali, è tornata al centro del dibattito pubblico (per non dire di moda) e la politica ha dovuto prenderne contezza, dopo essersi assuefatta evidentemente ai rumori della coscienza prodotti da chi – come Al Gore o Greta Thunberg – ha fatto della difesa dell’ambiente un vessillo, una vera e propria ragione di vita (prima che per sé) per il pianeta, un pianeta che tutti gli indicatori scientifici ci dicono ormai essere in sofferenza.

Eppure, se si segue la discussione sul tema, si rimane di stucco: la pianificazione politica del problema, nonostante i grandi cambiamenti in atto, è rimasta pressoché immutata rispetto al passato. Immutato è rimasto anche il linguaggio adoperato nella comunicazione.

La politica, soprattutto sul piano amministrativo, nel solco di un’impostazione tradizionale, ricorre continuamente ad immagini ricche di valore simbolico. Tra queste, assai frequenti sono quelle che fanno riferimento ad organi e funzioni vitali del corpo umano. Così ville e parchi comunali, viali alberati, centri storici, zone fluviali, alture e colline divengono i polmoni ossigenanti, le arterie essenziali, il cuore pulsante delle comunità, i luoghi dove poter respirare, staccare la spina e rilassare il fisico e la mente.

Quasi sempre l’utilizzo di questo linguaggio metaforico rimanda ad un approccio di tipo medico-curativo. Si pretende cioè di conoscere la malattia che ha compromesso la funzionalità dell’organo naturale e, tracciata la diagnosi, se ne indica una possibile cura.

Il risvolto serio e preoccupante di siffatto modo d’operare è che manca quasi del tutto l’aspetto formativo, il riconoscimento di un preciso sistema di valori che consenta di essere guidati – nella risoluzione delle incognite – da regole che non siano solo di tipo economico, urbanistico, imprenditoriale e così via. È il grido d’allarme che giunge appunto dal Santo Padre. Non è sbagliato allora seguire il suo insegnamento e cominciare a parlare di “sentimento della natura” o di “cultura dell’ambiente” per evidenziare l’incapacità delle nostre istituzioni di uscire dalla logica dell’emergenza.

L’Irpinia non è immune dal male di cui si discute. Giovanni Gussone, sotto certo aspetto, storicamente rappresenta l’emblema dell’assenza di sentimento in parola, della trascuratezza culturale in campo ambientale. È risaputo, infatti, che celebrandosi nel 1906 il primo centenario della istituzione della Provincia di Avellino il benemerito scienziato villamainese, tra i fondatori della moderna botanica, non fu neppure citato tra coloro che avevano maggiormente onorato l’Irpinia. Non solo. Mentre dappertutto in Europa si dedicavano alla sua memoria orti botanici, giardini, piazze, ritratti, aule universitarie, scuole, istituti, sezioni museali, specie vegetali e nomi di fiori, la città di Avellino decideva di intitolargli solo una piccola strada fiancheggiante la villa comunale.

Ecco cosa è mancata alla politica ambientalista irpina: la consapevolezza delle persone che hanno saputo interpretare ed incarnare l’anima del nostro territorio. Il tempo però è scaduto e non ci è dato più attendere.

Di qui l’attenzione e la fiducia che ripongo nei confronti del progetto “Ampsantica” che, sotto lo “spirito protettore” di Giovanni Gussone, il Comune di Villamaina guida in ambito regionale. Mi riferisco in primis all’idea sottesa al progetto. Pur cosciente delle difficoltà connesse ai processi realizzativi affinché un’idea attecchisca per bene, vale la pretesa costruttiva del progetto che mira a colmare un’evidente lacuna: il fatto che la “Verde Irpinia” manchi di un appuntamento istituzionalmente riconosciuto in cui il colore verde sia protagonista assoluto.

Ne è derivata l’intuizione di delineare un’area che funga da laboratorio di buone prassi, da luogo d’incontro e confronto, all’interno del quale sia consentito alla dimensione locale incrociare – in un rapporto di proficuo interscambio – discorsi più ampi e di stringente attualità. Con un obiettivo primario: recuperare il dialogo dell’uomo con la natura, l’ambiente e il paesaggio.

“Ampsantica” coinvolge una porzione del territorio altirpino dove tale dialogo si fa particolarmente intenso. Si sta parlando della Valle d’Ansanto, che con il geosito della Mefite rappresenta un mirabile ponte tra storia, arte e cultura, per il tramite del quale natura e paesaggio si impregnano di spiritualità e tradizioni. Lo stesso può dirsi per il fiume Ofanto che, ugualmente ricco di un’affascinante storia millenaria, trova da noi le sue sorgenti. E il discorso non cambia se ci si sofferma a considerare le condizioni ambientali e climatiche che tra l’Ufita e il Fredane hanno dato vita ad un ecosistema invidiabile.

Si è detto però che il tempo è scaduto e non ci è dato più attendere. Il turismo verde, ambientale o sostenibile, unitamente al cosiddetto turismo culturale rappresentano una grande opportunità, una risorsa che offre importanti possibilità di crescita e di sviluppo, come d’altra parte numerosi studi di settore vanno confermando per il prossimo futuro. Esso, dunque, sta diventando sempre più considerevole per i viaggiatori che iniziano ad acquisire sensibilità sulle tematiche ambientali.

Quanto importante sia la priorità di un intervento politico-amministrativo nel processo di trasformazione avviato è finanche superfluo precisarlo. Senza risalire troppo indietro negli anni, basterà sottolineare che dal 2009 il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale condivide i principi ispiratori e le linee guida che fanno capo alla difesa e alla valorizzazione del patrimonio naturalistico-culturale e storico-archeologico: nodi cruciali dai quali ripartire, nel potenziamento dei cosiddetti “corridoi ecologici” intesi quali elementi di connessione nell’ambito di una più ampia direttrice appenninica.

Percorsi invero già suggeriti dalla storia e che vale la pena riscoprire oggi nella loro essenza, senz’altro funzionale al soddisfacimento di esigenze attuali. L’Irpinia, a partire dalla fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento, divenne una delle mete del Grand Tour europeo, un posto privilegiato per artisti e scrittori che vi scoprivano un mondo più naturale ed incontaminato, ricco di miti, di resti del passato, di una natura affascinante, esotica, bellissima e al contempo disordinata, imprevedibile, magica, specchio dei suoi vigorosi ed austeri abitanti, secondo l’insegnamento di Livio, Virgilio, Lucano, Plinio, Orazio, Polibio, Strabone e ci si potrebbe non arrestare. Testimonianze che qui si citano alla rinfusa al solo scopo di precisare un concetto fondamentale: restituire ad un luogo la propria identità storica, appagando un desiderio ampiamente diffuso, condiviso e certificato in letteratura, significa allinearsi ad esperienze simili che, vissute sul piano nazionale ed internazionale in contesti locali paragonabili a quello irpino, hanno consentito la fuoriuscita da paurose situazioni di crisi. E lo hanno fatto grazie al binomio tradizione/innovazione sorretto da una feconda alleanza tra forze culturali.

Rammenta il Sindaco Nicola Trunfio che, “oltre alla resistenza, abbiamo il dovere umano di pensare al progresso […] e lo dobbiamo fare tutti insieme […] con le idee, con le braccia, con l’associazionismo, con l’arte, con la religione, con la letteratura, con la musica e attraverso l’amore per la natura”.

Non possiamo che dargli ragione ed insistere nel cammino intrapreso, certi dei risultati che arriveranno.